La santoreggia montana è originaria dell’Europa centrale e meridionale, dell’Africa settentrionale e dell’Asia, cresce spontanea in Italia in terreni sassosi, calcarei e ben esposti. E’ un suffrutice perenne, alto 30-40 cm, con ramificazioni molto fitte rivestite da foglie lanceolate larghe 3-4 mm a margine ripiegato in basso, glabre. I fiori sono di colore bianco, di piccole dimensioni, riuniti a formare infiorescenze cimose. La fioritura avviene solitamente in luglio-agosto, il frutto è un piccolo achenio ovoidale; tutta la pianta emana un odore intenso.
Presenta proprietà profumanti, aromatizzanti, stimolanti, digestive, carminative, antispasmodiche cicatrizzanti; viene impiegata sotto forma di infusi, decotti, e in cucina come aromatizzante. Trova impiego a livello di industria alimentare, cosmetica e liquoristica.
Terreno e ambiente
Predilige terreni calcarei e ben esposti, non teme le basse temperature invernali, né i ritorni di freddo, e resiste a climi molto rigidi, purché nel terreno non vi siano ristagni idrici; sopporta bene pure i lunghi periodi di siccità.
Propagazione
La santoreggia si propaga sia per via gamica che per via agamica. Con il primo metodo si esegue la semina in semenzaio già a partire da ottobre-novembre, in serra, in cassoni caldi, e ciò permette il trapianto all’inizio della primavera. La semina in campo è spesso sconsigliata e, quando viene eseguita, deve essere effettuata prima dell’inverno (ottobre). Per trapianti autunnali o invernali i semi possono essere seminati in cassoni freddi all’aperto nei mesi di maggio-giugno. La santoreggia montana ha un seme molto duro che germina quasi sempre con difficoltà, e per facilitare la sua germinazione possono essere utili trattamenti con acqua tiepida, o con ormoni. La semina all’aperto prima dell’inverno, eseguita in bancali o in cassette, garantisce una buona percentuale di germinabilità; 1000 semi pesano 0,3g. e due grammi sono sufficienti per una superficie di 10 mq con produzione di circa 5 – 6000 piantine. La germinabilità del seme può essere alta purché venga assicurato un giusto livello di umidità al terreno e si rispettino le condizioni sopra riportate.
Quando le piantine hanno raggiunto l’altezza di 8 – 10 cm si esegue il trapianto con la trapiantatrice, e di solito questa operazione si effettua da marzo ai primi di maggio. L’inconveniente di questo metodo deriva dall’eterogeneità delle sementi, in quanto non è ancora stata fatta una selezione dei diversi ceppi esistenti in natura, quindi è fondamentale sapere con sicurezza la provenienza del seme. La tecnica della divisione di cespo permette di avere piante uniformi; trattandosi di una pratica agamica si ottiene la perfetta riproduzione dei caratteri genetici della pianta madre. Tale operazione viene eseguita in autunno o all’inizio della primavera, prelevando dal cespo di una coltura vecchia i rami periferici che nella parte ipogea sono provvisti solitamente di radici; da una pianta madre si ottengono fino a trenta individui. Questo tecnica è però poco conveniente per moltiplicare piante in grande quantità. Altra tecnica di moltiplicazione è la propaggine, che si esegue sempre e solamente sulle giovani ramificazioni delle piante di età non superiore ad un anno; anche questa tecnica presenta numerosi limiti legati al numero ridotto di piantine ottenute. Nei mesi invernali fino all’inizio della primavera è possibile trapiantare anche piantine a radice nuda con ottimi risultati di attecchimento.
Sesto d’impianto
La santoreggia montana ha una sorprendente capacità di sviluppo nel senso della larghezza, tanto che il sesto d’impianto, composto solitamente da 60 -70 cm tra le file e 30-40 cm sulle file, viene spostato fino a 90 – 100 cm tra le file, in modo da ottenere una densità finale di 6- 8 piante/mq.
Fertilizzazione
All’impianto della coltura è consigliabile eseguire concimazioni con 50 -80 Kg/ha di azoto, anidride fosforica e ossido di potassio. E’ anche utile, negli anni successivi al primo, apportare, prima della ripresa vegetativa, un’ulteriore quantità di azoto compresa tra 50 e 80 Kg/ha a seconda della fertilità del terreno e delle condizioni ambientali.
Cure colturali
Durante il primo anno è importantissimo eseguire sarchiature nell’interfila e lungo la fila. Tali operazioni dovranno essere frequenti in modo da garantire una riduzione delle infestanti e delle perdite d’acqua per capillarità nei mesi più siccitosi. Dal secondo anno di coltivazione le lavorazioni sono limitate ad alcune sarchiature in primavera e dopo lo sfalcio.
Gli interventi d’irrigazione sono limitati al trapianto soprattutto se viene eseguito nella primavera inoltrata e/o in periodi di siccità, dopo ogni sfalcio per stimolare il ricaccio della pianta. Sono da evitare o ridurre al minimo le irrigazioni a pioggia.
Fino ad oggi nelle coltivazioni di santoreggia montana non sono stati riscontrati particolari problemi fitosanitari, in quanto il carvacrolo , composto chimico presente nella pianta, è attivo contro la maggior parte di funghi ed insetti. Solo durante la coltura nei semenzali, è stato riscontrata la presenza del micete Phythium debaryanum Hesse, agente del marciume delle plantule. Il suo attacco è più che altro diretto nelle zone del colletto, con esito molto rapido, per quando non fulmineo; nel corso di pochi giorni, infatti, possono essere distrutti interi m2 di semenzaio. L’infezione parte dal punto di affioramento dell’asse dal suolo per poi diffondersi nell’apparato radicale ed in quello aereo; generalmente, però, la piantina si adagia al suolo prima che il fungo possa espandersi. L’attacco di tale patogeno è favorito da un ambiente con temperatura e umidità elevate, quale appunto si può avere nei cassoni, specie in quelli riscaldati. La temperatura ottimale per l’infezione va da 20 a 30 °C, mentre altri fattori predisponenti sono la scarsa ventilazione e la poca luce; è necessario regolare le condizioni termoigieniche dei semenzali, i ristagni di umidità nel terreno e nel soprassuolo, e vanno favoriti gli accessi di luce e aria a livello della plantula. La disinfezione nel caso di Phythium viene fatta con il metodo chimico, utilizzando formaldeide in dose di 10 litri di soluzione all’1% per m2. Utili sono anche gli interventi di disinfezione dei bancali con il calore e il cambio completo dei terricci.